Il beluga e il narvalo sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.
Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo – almeno così si pensava – che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.

Lo studio, appena pubblicato nella rivista internazionale “Journal of Paleontology”, è stato condotto da Giovanni Bianucci e Alberto Collareta, paleontologi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, oltre a Fabio Pesci e Chiara Tinelli nell’ambito delle loro attività di tesi, rispettivamente di laurea magistrale e di dottorato. La scoperta è stata fatta durante uno scavo paleontologico che ha coinvolto anche la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa e il Gruppo geopaleontologico GAMPS, di cui Simone Casati è presidente. Il fossile è ora esposto nella Galleria dei Cetacei, recentemente rinnovata, del Museo di Storia Naturale di Pisa.

“Mentre sulla biologia dei monodontidi si sa moltissimo – spiega Giovanni Bianucci – grazie alle ricerche che vengono fatte sui beluga e i narvali da scienziati di tutto il mondo, pochissimo si sa sull’evoluzione di questi cetacei perché le testimonianze fossili sono estremamente scarse. Infatti, fino ad oggi si conoscevano soltanto tre specie estinte di monodontidi, ciascuna di essa descritta su un unico cranio fossile. Pertanto il cranio che abbiamo trovato ad Arcille è di straordinaria importanza non solo perché si tratta del primo di monodontide scoperto nell’area Mediterranea, ma anche perché ci ha permesso di descrivere la quarta specie fossile al mondo di questa famiglia”.

“Ma l’importanza scientifica di questa scoperta – continua Bianucci – va oltre la rarità del ritrovamento. L’eccezionalità del reperto sta nel fatto che, apparentemente, questo fossile è stato trovato ‘fuori posto’, cioè in un’area del nostro pianeta dove non ci saremmo mai aspettati di trovarlo. Se oggi i monodontidi non vivono nel Mediterraneo il motivo è molto semplice: le acque sono troppo calde e non adatte per dei cetacei che hanno scelto il Polo Nord come loro “casa” e che non si spingono mai oltre l’oceano glaciale artico. Ma l’aspetto ancora più incredibile è che circa cinque milioni di anni fa il Mediterraneo era addirittura più caldo di adesso, con temperature vicine a quelle tropicali”.

“Che durante il Pliocene inferiore il Mediterraneo fosse un mare caldo si sapeva da tempo – afferma Alberto Collareta – ma altri fossili straordinari che abbiamo trovato nella cava di Arcille supportano il fatto che Casatia thermophila nuotava insieme ad animali marini di acque tropicali, come ad esempio il temibile squalo zambesi, il vorace squalo tigre e l’enorme marlin”, tutte forme oggi assenti dal Mediterraneo”.

Durante il monitoraggio della cava di Arcille – aggiunge Chiara Tinelli – abbiamo recuperato anche numerosi scheletri di Sirenii riferiti alla specie fossile Metaxytherium subapenninum, un antenato del dugongo, mammifero marino che abita le acque costiere tropicali”.

“Nel complesso – riprende Collareta – questa comunità fossile è indicativa di un paleoambiente schiettamente tropicale, privo di analoghi nel Mediterraneo attuale. Il rinvenimento di Casatia thermophila all’interno di un simile paleoambiente rappresenta dunque la conferma definitiva che il narvalo e il beluga derivano da forme di mare caldo tropicale. E’ probabile che le due specie attuali di monodontidi abbiano evoluto i loro straordinari adattamenti alle acque fredde in tempi geologicamente molto recenti, durante il Quaternario, quando l’emisfero settentrionale fu interessato da ripetute glaciazioni e da un trend di progressivo irrigidimento climatico”.

“Per me è stata un’esperienza veramente importante e formativa.” – afferma Fabio Pesci – Lo studio morfometrico e l’analisi filogenetica sono stati abbastanza complessi, per uno studente che si cimentava per la prima volta in una ricerca di questo tipo. Ma è stato entusiasmante trovare i dati a supporto del fatto che questo fossile apparteneva ad una specie nuova per la scienza”.

“Le ricerche che abbiamo condotto nella cava di Arcille – conclude Bianucci – ci hanno permesso di scoprire solo una piccola parte dei reperti fossili straordinari che si nascondono nel territorio toscano. Le colline toscane rappresentano, infatti, una delle aree con maggiore concentrazione di fossili di vertebrati marini a livello mondiale. Durante il Pliocene buona parte del territorio toscano era sommerso da un mare popolato da una grande varietà di organismi. I profondi mutamenti geologici e climatici intercorsi da allora hanno rimodellato il territorio, rendendolo una vera ‘miniera a cielo aperto’ ricca di indizi che, se debitamente interpretati, possono svelare molti altri aspetti inattesi della fauna marina del passato”.

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