Il risultato è stato recentemente pubblicato su Progress in Physical Geography: Earth and Environment, ma è il 2014 quando i ricercatori dell’Istituto scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche, insieme a quelli dell’Università di Insubria, misurano il momento esatto in cui scompare il permafrost in una grotta del monte Canin, sulle Alpi Giulie.

La scomparsa di questo particolare stato termico della roccia, che chiamiamo permafrost, ha però alcune gravi conseguenze sulla conservazione delle riserve idriche e sulla stabilità delle montagne.

“Bisogna immaginare la roccia sotterranea come organizzata per strati. Lo strato più esterno ghiaccia d’inverno e scongela d’estate mentre lo strato più interno rimane sempre sotto lo zero: questo è il permafrost”, spiega Renato R. Colucci del Cnr-Ismar.

Nel Settembre 2014 si è verificato un cambiamento repentino del regime termico della roccia sotterranea del Canin, laddove invece di solito si osservano cambiamenti molto più lenti. La roccia sotterranea, infatti, è molto resiliente, e quindi questo drastico cambiamento delle proprietà termiche indica il fatto che la roccia ha ricevuto un calore superiore a quello abituale, per un lungo periodo di tempo.

Nell’intervallo di tempo di pochi giorni, il permafrost di una grotta sul Canin, che i ricercatori stavano monitorando da tre anni, è passato sopra lo zero. Da allora la roccia ha un andamento stagionale, cioè ogni anno ghiaccia d’inverno ma d’estate supera lo zero. 

“Questo aspetto ha importanti ripercussioni sulle riserve d’acqua sotterranea, stoccate sotto forma di ghiaccio permanente, che caratterizzano le aree carsiche di alta quota come ad esempio le Alpi Giulie, ma anche estese aree delle Alpi austriache o svizzere. La superficie topografica del ghiacciaio sotterraneo in questa grotta si è abbassata di mezzo metro nell’arco di soli quattro anni”, aggiunge Colucci.

La scomparsa del permafrost in roccia ha inoltre importanti ripercussioni a livello alpino e riguarda qualsiasi tipo di roccia. Il permaforst infatti tende a dare maggiore stabilità a versanti e pareti ad alta quota grazie all’azione legante che il ghiaccio imprime alle fratture rocciose. Il suo scongelamento porta ad un potenziale aumento di eventi franosi e, anche se non è mai stata misurata una correlazione diretta, si osserva che negli ultimi anni sulle Alpi Giulie sono aumentati i casi di crollo di vaste porzioni rocciose.

Inoltre, in generale, la riduzione dei ghiacciai sotterranei determina un contraccolpo sul regime idrico complessivo e sulla portata dei corsi d’acqua.

Questo risultato è stato ottenuto con dei particolari termometri che hanno misurato la temperatura in continuo per sette anni, in diversi punti della grotta.

La ricerca fa parte di un più ampio progetto. Si chiama C3-Cave’s Cryosphere and Climate e intende studiare, sotto diversi aspetti, i depositi di ghiaccio sotterraneo nelle aree carsiche. C3-Cave’s Cryosphere and Climate è finanziato in parte dalla Società Speleologica CGEB della Società Alpina delle Giulie. Nel progetto sono coinvolti altri istituti di ricerca e Università di diversi Paesi: oltre all’Italia infatti vi partecipano Austria, Svizzera, Germania, Slovenia e Romania.

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