Un cerotto smart per curare i coralli
Istituto Italiano di Tecnologiain collaborazione con il MaRHE Center dell’Università di Milano-Bicocca ha recentemente pubblicato su “Scientific Reports”, rivista internazionale del gruppo Nature, lo studio relativo lo sviluppo e l’applicazione di cerotti smart in grado di curare i coralli colpiti da infezioni batteriche, virali o fungine a seguito dei danni causati da inquinamento, cambiamenti climatici e attività umane.
Le scogliere coralline rappresentano un habitat fondamentale per l’ecosistema marino e la distruzione di tali ambienti, dovuta a inquinamento, cambiamenti climatici e altre attività umane, porterebbe gravi conseguenze a livello globale. Negli ultimi 50 anni si è assistito ad una riduzione di questo ecosistema del 50 per cento, con le malattie causate da diversi microrganismi patogeni che rappresentano una delle cause principali di questo declino. Le patologie che possono causare la morte di questi animali sono oltre 40 e ad oggi non esistono interventi curativi efficaci per prevenire o curarli, mettendo in serio pericolo l’integrità di questi habitat e l’eccezionale biodiversità associata.
Per questo studio sono stati utilizzati i coralli appartenenti alla specie Acropora muricata, coralli costruttori tipici dei mari tropicali e inseriti dalla IUCN tra le specie a rischio di estinzione. Tali organismi a seguito di stress naturali o di origine antropica posso venire lesionati aumentando il rischio di contagio diretto con microorganismi pericolosi, quali batteri, protozoi, funghi e virus, responsabili dell’insorgenza di specifiche patologie potenzialmente fatali.
I ricercatori hanno sviluppato un trattamento con cerotti smart, completamente biocompatibili e biodegradabili da applicare sulle “ferite” dei coralli, che rilasciano in modo controllato principi attivi e che ne permettano l’adesione al corallo, curandolo. Il trattamento consiste nell’applicazione di un primo cerotto che rilascia farmaci direttamente nella ferita del corallo evitando che questi ultimi vengano dispersi nell’ambiente, per poi successivamente sigillare la parte danneggiata dell’organismo con un secondo cerotto in modo da fermare il potenziale ingresso di ulteriori agenti patogeni.
«Questo lavoro rappresenta una novità assoluta nello studio e nel trattamento delle malattie dei coralli. Ad oggi, per limitare l’impatto di queste patologie, la tecnica che viene più comunemente utilizzata è la totale o parziale rimozione della colonia, con conseguente ulteriore danno alle comunità coralline. Grazie a questo studio si potrebbe curare direttamente in loco i coralli malati permettendo una conservazione più efficace di uno degli ecosistemi naturali più meravigliosi del nostro pianeta» dichiara Simone Montano ricercatore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra e del MaRHE center dell’Università degli studi di Milano-Bicocca.
Il cerotto smart, progetto dal team Smart Materials di IIT, proveniente da tecnologie pensate per la cura delle ferite in campo ospedaliero, si è rivelato un metodo efficace sia su scala medio piccola – in acquario – che potenzialmente su larga scala – nell’ambiente naturale. L’effetto terapeutico del cerotto è stato testato infatti per 10 giorni in ambiente di laboratorio e, successivamente, per un periodo di 4 mesi in mare.
«Il trattamento consentirà di poter caricare nel primo cerotto farmaci specifici a seconda del tipo d’infezione, da anti-batterici, ad anti-protozoi e anti-fungini, così da creare un trattamento ad-hoc per le specifiche infezioni dei coralli» racconta Marco Contardi ricercatore del team Smart Materials di IIT e primo autore dello studio.
I risultati di questo studio suggeriscono, per la prima volta, una tecnica per la cura e il recupero di organismi delicati come i coralli ma tale tecnologia sarebbe applicabile anche per numerose altre specie marine soggette a danni causati dalle attività umane. I prossimi passi dei team di ricerca si focalizzeranno sui metodi di applicazione dei cerotti smart in natura e su larga scala, mentre nel breve periodo questo approccio terapeutico potrebbe essere già utilizzato nel campo dell’acquariologia.
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