La Fondazione Edmund Mach, con la Dr Francesca Cagnacci del Gruppo di Ecologia Applicata, ha ideato e promosso l’iniziativa a livello globale, insieme a colleghi dell’Università di St Andrews e del Max-Planck ‘Animal Behaviour’ di Radolfzell.
I risultati saranno fondamentali per comprendere gli effetti delle attività umane moderne sulla fauna, indicando così strategie per migliorare lo stato di salute dell’ambiente e dell’umanità stessa. Gli autori suggeriscono l’utilizzo di dati raccolti da unità sensoristiche apposte agli animali, un approccio di ricerca che vede la FEM tra i leader a livello mondiale, coordinando il network di ricerca Euromammals e sviluppando tecnologie bio-logging innovative.

Un team internazionale di scienziati sta studiando come gli animali abbiano risposto alla variazione dell’attività umana seguita alla pandemia da COVID-19. Tra questi, la ricerca italiana riveste un ruolo preminente con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.
In un articolo pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista “Nature Ecology & Evolution”, gli scienziati spiegano come questa ricerca, condotta in un tragico momento per l’umanità, indicherà strategie innovative perchè uomini e animali selvatici possano condividere un pianeta sovraffollato, con benefici per entrambi.

Molti Paesi hanno adottato, con diverse modalità, delle misure di lockdown per limitare la diffusione di COVID-19, originando tra l’altro una riduzione della mobilità umana, che gli scienziati hanno ribattezzato “ANTRO-pausa”. Questa condizione di ‘rallentamento’ delle attività antropiche permette di indagare, come mai prima, le interazioni tra uomo e fauna.

Sui social media sono stati riportati negli ultimi mesi moltissimi incontri e osservazioni inusuali di animali selvatici, soprattutto nelle aree urbane. Non solo sono sembrati aumentare gli avvistamenti, ma visitatori eccezionali si sono avventurati nelle nostre città, dai puma in centro città a Santiago del Cile, ai delfini nei pressi dei pontili deserti a Trieste. Questo sembra indicare che la natura abbia ‘reagito’ al lockdown.

Per alcuni animali la riduzione delle attività umane potrebbe invece aver creato delle condizioni paradossalmente svantaggiose. Per esempio, specie già adattate agli ambienti antropici, come i gabbiani, i ratti o le scimmie, potrebbero aver sofferto la mancata disponibilità di scarti di cibo umano. Viceversa, in aree remote, la ridotta presenza di visitatori potrebbe aver acuito il rischio di bracconaggio delle specie minacciate, quali rinoceronti o rapaci.

Gli autori dell’articolo scientifico sottolineano con decisione come la priorità internazionale debba essere la risoluzione dell’enorme crisi umanitaria e sociale causata da COVID-19. Riconoscono tuttavia che si debba anche documentare, per la prima volta su scala autenticamente globale, l’effetto dell’uomo contemporaneo sui sistemi naturali.

Per affrontare questa sfida, i ricercatori hanno fondato l’iniziativa “COVID-19 Bio-Logging”. Questo consorzio internazionale studierà il movimento, i comportamenti e i livelli di stress degli animali prima, durante e dopo il lockdown, utilizzando unità elettroniche dotate di sensori che vengono apposte a un campione di individui delle specie studiate.

Il Professor Christian Rutz, primo autore dell’articolo e Presidente della Società Internazionale di Bio-Logging, spiega: “I ricercatori appongono unità tecnologiche di monitoraggio su una grande diversità di animali in ogni ambiente, terrestre e marino. Questi “bio-loggers” rappresentano una miniera di informazioni sul movimento e comportamento animale, che ora possiamo utilizzare per accrescere grandemente la nostra conoscenza sull’interazione tra uomo e fauna selvatica, con grande beneficio per l’umanità stessa”.
Il team di scienziati integrerà i dati raccolti da una grande varietà di specie, tra cui pesci, uccelli e mammiferi, per ricostruire l’effetto del lockdown a livello globale.
La Dr Francesca Cagnacci, ricercatrice alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige in Trentino e coordinatrice scientifica del network di ricerca Euromammals, riporta: “La comunità internazionale di ricerca ha risposto con grande entusiasmo alla nostra richiesta di collaborazione, mettendo a disposizione i dati di più di 200 progetti”.
Cosa dunque sperano di scoprire gli scienziati? Il Dr Matthias-Claudio Loretto, post-doc Marie Skłodowska-Curie all’Istituto Max Planck ‘Animal Behavior’ a Radolfzell, spiega che sarà possibile verificare questioni precedentemente irrisolte, ma fondamentali: “Saremo in grado di capire se gli animali condizionino i propri movimenti alle infrastrutture, o alla presenza effettiva degli uomini”.
Questi studi permetteranno a loro volta di pianificare approcci innovativi per migliorare la coesistenza tra uomini e fauna selvatica, come riferisce il Professor Martin Wikelski, Direttore dell’Istituto Max Planck “Animal Behavior” a Radolfzell: “Nessuno ovviamente vuole implicare che gli uomini debbano stare in permanente lockdown, ma potremmo rivelare che cambiamenti relativamente piccoli del nostro stile di vita e del sistema di trasporti possono avere benefici significativi sia per gli ecosistemi che per l’umanità nel suo complesso”.
Il coordinamento a livello mondiale della ricerca scientifica sulla fauna selvatica durante questo periodo di crisi fornirà dunque opportunità inaspettate per dare avvio a una rinnovata coesistenza tra uomini e altri animali, con benefici per tutte le specie e la salute globale.

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