“Vi sono prove che le microplastiche abbiano raggiunto le regioni più remote del pianeta”. Si apre con questa affermazione l’articolo pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “Biology Letters” del team di ricerca internazionale che vede come capofila l’Università di Siena e che ha dato la prima evidenza di contaminazione da microplastiche in animali terrestri antartici.

Lo studio è stato condotto da Elisa Bergami e coordinato da Ilaria Corsi, ricercatrici del dipartimento di Scienze fisiche della terra e dell’ambiente dell’Università di Siena, con il contributo della collega Emilia Rota dello stesso dipartimento, Giovanni Birarda e Lisa Vaccari di ELETTRA Sincrotrone di Trieste e Tancredi Caruso dell’University College di Dublino.

La ricerca è stata effettuata nell’ambito di progetti finanziati dal programma nazionale di ricerca in Antartide, con il supporto del programma antartico brasiliano e l’istituto antartico cileno. I ricercatori hanno beneficiato gratuitamente dell’accesso all’avanzata strumentazione del Sincrotrone di Trieste grazie a uno dei bandi del consorzio centro-europeo di infrastrutture di ricerca, CERIC-ERIC.

Prima di questa osservazione “vi erano ancora dubbi sulla presenza della plastica nelle reti alimentari terrestri antartiche” – spiegano gli autori dello studio. La ricerca ha preso il via da un pezzo di polistirolo ritrovato nel 2016 sulle coste dell’isola antartica di re Giorgio (Shetland del Sud), ricoperto di alghe, muschi e licheni. A nutrirsi di questa microflora è un piccolo invertebrato lungo un paio di millimetri, il Cryptopygus antarcticus, del gruppo dei Collemboli, componente centrale della catena alimentare del suolo in tutte le aree del pianeta. Le analisi sugli esemplari di Collemboli rinvenuti sul materiale plastico – effettuate con la tecnologia di imaging con spettroscopia infrarossa presso Elettra Sincrotrone Trieste, struttura partner di CERIC-ERIC – hanno permesso di identificare la presenza di tracce di polistirolo nell’intestino di questi organismi, superando le limitazioni attuali per l’analisi di microinvertebrati del suolo.

“Le microplastiche – spiega Ilaria Corsi – possono anche trasportare contaminanti e agenti patogeni, con un potenziale dannoso per organismi come i Collemboli, e di conseguenza per altre specie della relativa rete alimentare. Studi di laboratorio su specie di Collemboli che abitano altre regioni del globo suggeriscono inoltre che l’esposizione a microplastiche possa provocare alterazioni nella loro crescita e riproduzione”.

“Considerata l’ampia presenza di Cryptopygus antarcticus nell’ambiente terrestre antartico – conclude Elisa Bergami – l’ingestione di microplastiche potrebbe contribuire alla loro dispersione lungo la catena alimentare nel polo sud, con potenziali rischi per l’intero ecosistema. Altri studi saranno necessari per meglio comprendere le possibili conseguenze ambientali dovute alla presenza di microplastiche, ormai penetrate profondamente nel terreno e nelle reti alimentari”.

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