Comprendere l’impatto dell’inquinamento acustico marino causato dall’uomo è un passo cruciale verso una gestione sostenibile degli oceani. Da questo punto parte la ricerca condotta da Kevin Painter, docente del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio – DIST al Politecnico di Torino, che con il collega Stuart Johnston dell’Università di Melbourne ha esplorato il fenomeno della navigazione collettiva nelle popolazioni animali, analizzando in particolare l’effetto del cosiddetto “anthropogenic noise pollution” sulla navigazione delle balene Minke nel Mare del Nord. La ricerca è stata pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista “Royal Society Interface”.

La domanda che gli autori dello studio si sono posti è stata: come il cambiamento della capacità di comunicazione tra i cetacei influenza la loro sopravvivenza nelle migrazioni a lunga distanza?

Data la complessità di condurre studi direttamente sulle balene, i modelli matematici permettono di riassumere i dati biologici e di comportamento degli animali in una formula che può essere applicata a diversi soggetti di analisi. Il modello messo a punto da Painter e Johnston descrive il percorso di migrazione fatto da ogni membro di un branco di balene, dove ogni individuo traccia una rotta in base alle informazioni ricavate dall’ambiente e a quelle derivanti dalla comunicazione con gli altri membri del gruppo: le balene infatti sono in grado di comunicare la direzione verso cui stanno viaggiando.

Mentre non siamo in grado di decifrare il significato del canto delle balene, ci sono prove che meno informazioni sono codificate nelle chiamate semplificate. L’aumento del rumore di fondo porta a una riduzione del raggio di comunicazione – è stato stimato che le balene Minke perdono circa l’80% del loro raggio di comunicazione quando il rumore di fondo aumenta da 67,5 decibel a 87,5 decibel. L’inquinamento acustico potrebbe quindi costringere le balene a comunicare meno informazioni e su un raggio ridotto. Quando le balene hanno buone informazioni e viaggiano in una direzione comune, il gruppo naviga efficacemente. La riduzione della gamma di comunicazione e delle informazioni condivise porta i singoli e il gruppo a riporre una minore fiducia nella direzione scelta: questo conduce a una migrazione meno efficiente.

Gli autori hanno applicato il loro modello alla migrazione delle balene Minke nel Mare del Nord, dove è presente un significativo inquinamento acustico dovuto alle attività di esplorazione di giacimenti di petrolio e gas naturale, oltre alla presenza di intenso traffico marittimo. Il modello, concepito come una notevole semplificazione e costruito con l’intento illustrativo, ha condotto gli autori a osservare che in presenza di elementi di disturbo generati dalle attività umane, la migrazione dei cetacei può avvenire più lentamente, circa il 15% di tempo in più. Questo dato sembra ininfluente, ma anche soltanto il 15% di tempo in più speso per muoversi significa per le balene un ulteriore dispendio di energia, lasciando agli animali meno forze e tempo per la riproduzione e la ricerca di cibo e creando un problema di reintegro delle energie perse.

La crescente attività umana nei mari e negli oceani ha creato un paesaggio sonoro marino tutt’altro che incontaminato. Il traffico marittimo, l’esplorazione delle risorse naturali e le operazioni navali contribuiscono a quello che è stato soprannominato il “paesaggio sonoro dell’Antropocene”. Questo aumento del rumore causato dagli esseri umani ha una serie di effetti negativi sulla vita marina. Gli animali diventano più suscettibili alla predazione, evitano le zone di alimentazione e riproduzione e semplificano le loro comunicazioni in presenza di un maggiore rumore di fondo. Alcuni spiaggiamenti di massa di cetacei sono stati collegati all’esposizione ad alti livelli di rumore. La forte alterazione del contesto sonoro può mettere a rischio la sopravvivenza di molte forme di vita marine nella fase più delicata della loro vita, quella della migrazione.

“I nostri modelli preliminari indicano che l’inquinamento acustico marino potrebbe allungare i tempi di migrazione delle balene – sottolinea il professor Kevin Painter – si tratta di uno sforzo aggiuntivo in un’impresa già dispendiosa per questi grandi animali. Sviluppando ulteriormente il modello, speriamo di prevedere nuovi modi di gestire il paesaggio sonoro marino, con l’obiettivo di minimizzare l’impatto dell’attività umana”.

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