I mammiferi invasivi minacciano la biodiversità nel Vecchio Continente
Un gruppo congiunto di ricercatori internazionali provenienti da Italia, Austria e Portogallo ha recentemente messo in luce nella review “Introduction, spread, and impacts of invasive alien mammals in Europe”, pubblicata su “Mammal Review”, che i mammiferi alieni invasivi stanno espandendo i loro areali in Europa, minacciando la biodiversità nativa.
La presenza di queste specie, introdotte intenzionalmente come “animali da compagnia o da pelliccia” o accidentalmente, ha conseguenze negative, non solo sull’ambiente, ma anche sulla potenziale trasmissione di patogeni, inclusi quelli zoonotici che possono essere trasmessi dagli animali all’uomo. Il team di ricerca ha evidenziato che questo rischio è associabile all’81% delle specie aliene invasive studiate.
Il lavoro, coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza e dell’Università di Vienna, in collaborazione con l’Università di Lisbona, ha evidenziato come, nonostante l’implementazione di appositi accordi internazionali, in Europa le segnalazioni di mammiferi alieni invasivi siano in forte aumento a scapito delle specie autoctone. La ricerca consiste in una review sistematica della letteratura finora pubblicata su 16 specie aliene invasive, integrata con informazioni aggiornate ed estratte dai database globali.
L’Unione europea per far fronte al fenomeno, ha adottato nel 2014 il Regolamento n. 1143/2014 con l’obiettivo di controllare o eradicare le specie aliene invasive prioritarie e prevenirne ulteriori introduzioni e insediamenti. Il cuore del regolamento è la Union List, una lista di specie verso cui indirizzare misure di prevenzione, gestione, individuazione precoce ed eradicazione veloce. Nonostante l’interesse comunitario al problema, nessuno studio finora aveva affrontato specificamente l’ecologia dei mammiferi alieni invasivi della lista.
Secondo gli autori della Review, le specie invasive più diffuse in Europa sono il cane procione originario della Siberia orientale, il topo muschiato, il visone americano e il procione, queste ultime di origine nordamericana, che hanno invaso almeno 19 Paesi e sono presenti da 90 anni nel territorio europeo. L’ampia distribuzione di questi mammiferi può essere attribuita a diversi fattori, tra cui adattabilità, capacità di colonizzare ambienti diversi e grande capacità riproduttiva.
Inoltre è stato visto come tutte e cinque le specie di Sciuridi sono state introdotte in Europa almeno una volta come “animali da compagnia” o per svago: questi animali vengono spesso rilasciate illegalmente nei parchi urbani quando non si è più disposti a tenerle. Oppure l’introduzione è avvenuta a scopo ornamentale, sebbene tale attività, grazie alle campagne di sensibilizzazione, stia cadendo in disuso.
Altre specie come la nutria, il procione o il visone americano sono state, invece, ripetutamente introdotte per essere allevate come animali da pelliccia: le fughe dagli allevamenti, frequenti, non sempre accidentali e ripetute negli anni, hanno permesso che si stabilissero vere e proprie popolazioni in natura.
“Nonostante negli ultimi 50 anni si sia registrata una diminuzione nelle nuove introduzioni di mammiferi alieni – spiega Lisa Tedeschi della Sapienza, prima autrice dello studio – questi continuano a espandere i loro areali in Europa, aiutati dal rilascio illegale di individui in natura, minacciando gravemente la biodiversità nativa”.
Un altro aspetto importante riguarda il coinvolgimento delle specie studiate nei cicli di trasmissione di patogeni zoonotici: alcune malattie infettive associate a mammiferi invasivi possono minacciare la salute umana. Basti pensare agli outbreaks del virus SARS-CoV-2 registrati negli allevamenti di visoni americani di Paesi Bassi e Danimarca nel 2020, nonostante non sia ancora chiaro il ruolo epidemiologico dei visoni nel ciclo del virus.
Oltretutto, il visone americano esercita un effetto negativo anche attraverso la predazione su altre specie, come l’arvicola eurasiatica. Anche il patrimonio genetico delle specie autoctone può essere minacciato dai mammiferi invasivi, attraverso l’ibridazione: nel Regno Unito, per esempio, il cervo sika sta mettendo a rischio l’integrità genetica della sottospecie scozzese di cervo rosso.
“I mammiferi invasivi possono contribuire all’estinzione delle specie autoctone attraverso diversi meccanismi, tra cui competizione, predazione e trasmissione di malattie – dichiara Carlo Rondinini della Sapienza, coordinatore del lavoro insieme a Franz Essl dell’Università di Vienna. “Lo scoiattolo rosso eurasiatico, per esempio, in Italia si è estinto in più della metà del suo areale ed è stato sostituito dallo scoiattolo grigio orientale, mentre il visone americano ha colonizzato l’area occupata dal visone europeo confinando questa specie nativa, nonchè in grave pericolo di estinzione, in poche aree della Spagna”.
Poiché l’eradicazione di mammiferi alieni che hanno una così ampia distribuzione è difficile da ottenere, sarebbe opportuno invece gestire in maniera ottimale le popolazioni delle specie che sono diventate invasive e che potrebbero essere problematiche.
“In questo contesto – conclude Lisa Tedeschi – l’identificazione di popolazioni problematiche o di aree più invase di altre può aiutare a mitigare gli impatti futuri”.
Lascia un commento