Testuggini di grande taglia hanno abitato l’Europa continentale e insulare per milioni di anni. Alcune avevano una taglia comparabile o anche superiore a quella delle testuggini che ancora abitano l’Atollo di Aldabra, nell’Oceano Indiano, e l’arcipelago delle Isole Galápagos, nell’Oceano Pacifico. La Sicilia ha ospitato testuggini giganti con una lunghezza del guscio di circa un metro durante il Pleistocene medio, fino a circa 200mila anni fa. Sono conosciuti resti sia nel Ragusano sia nella zona di Alcamo, esposti rispettivamente al Museo Civico di Storia Naturale di Comiso e al Museo Geologico Gemmellaro di Palermo. Allora era già presente la testuggine di Hermann, Testudo hermanni, che è attualmente l’unica testuggine terrestre autoctona presente in Sicilia e di cui sono presenti numerosi resti fossili in giacimenti paleontologici e archeologici. Il guscio di quest’ultima è molto più piccolo di quello delle testuggini giganti, e in Sicilia supera di poco i 20 centimetri.

Grazie agli scavi condotti dal gruppo di lavoro del Prof. Luca Sineo dell’Università di Palermo in un’area funeraria attribuibile all’età del Rame ubicata a circa 15 metri di profondità nella grotta chiamata Zubbio di Cozzo San Pietro, sono stati portati alla luce alcuni resti di una testuggine di grande taglia il cui guscio raggiungeva probabilmente i 50-60 centimetri. Analisi al radiocarbonio dei resti della testuggine hanno rivelato che il loro possessore era in vita circa 12.500 anni fa, molto prima che la grotta fosse interessata dalle attività funerarie. 

La presenza di un femore molto ben conservato ha consentito di confrontare le caratteristiche morfologiche della testuggine di Bagheria con quella di tutte le testuggini viventi e fossili del Bacino Mediterraneo e di stabilire che si tratta di una nuova specie che ha richiesto anche l’istituzione di un nuovo genere. Il materiale è stato attribuito a ‘Solitudo sicula’, un nome che pur mantenendo una certa assonanza con il genere dell’unica testuggine terrestre attualmente vivente in Sicilia, Testudo, allude alla rarità e in qualche modo “solitudine” delle ultime testuggini di grandi dimensioni del Mediterraneo.

Secondo Gianni Insacco, Direttore Scientifico del Museo di Comiso, che ormai da decenni si occupa del salvataggio dei resti fossili delle testuggini giganti della Sicilia orientale e che non è fra gli autori del lavoro, “il ritrovamento di questi resti rappresenta una sorpresa veramente inaspettata che apre nuove prospettive per la ricerca scientifica e quindi per la conoscenza del patrimonio naturale e culturale siciliano”.

Come fa notare il Prof. Uwe Fritz, Museo di Zoologia Senckenberg Dresden, e coautore del lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista “Zoological Journal of the Lineean Society” “è stato un colpo di fortuna che un femore quasi intatto fosse presente fra i pochiresti di testuggine ritrovati sino ad ora. Le testuggini di grande taglia hanno generalmentegusci fragili e quindi poco presenti nel registro paleontologico, al contrario dei femori chesono robusti e piuttosto frequenti”. 

Il ritrovamento di un femore nello Zubbio di Cozzo SanPietro ha consentito quindi un confronto accurato con le altre testuggini di grandidimensioni.Sebbene non sia possibile dimostrarlo sulla base dei dati attualmente disponibili, non èescluso che Solitudo sia stata portata all’estinzione dagli esseri umani che hanno abitatola Sicilia nell’antichità e, come sottolinea il Prof. Sineo, “prove di interazioni fra Solitudo egli esseri umani potrebbero essere ancora racchiuse nei depositi fossiliferi dello Zubbio diCozzo San Pietro o in altri giacimenti archeologici dell’isola”. Secondo Fritz “sembra ragionevole supporre che gli esseri umani abbiano avuto un ruolo anche nell’estinzione diSolitudo visto che la scomparsa delle testuggini di grandi dimensioni in numerose isole delPianeta Terra è stata regolarmente determinata dall’uomo”.

“Solitudo sicula è per noi ancora un enigma in gran parte da sciogliere perché sino ad ora abbiamo avuto accesso ad un numero molto limitato di informazioni” spiega il Prof. Massimo Delfino del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino. “Sebbene si tratti di materiale relativamente recente, l’estrazione del DNA antico non ha dato risultati utili a comprendere le sue relazioni di parentela con le specie attualmente viventi. Inoltre, i resti fossili sono estremamente scarsi e non includono elementi del cranio e del guscio che potrebbero consentire di fare confronti più dettagliati e ottenere delle informazioni relative all’ecologia di questa specie. Auspichiamo quindi che possano essere ritrovati altri resti in ulteriori campagne di scavo”.

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