I cambiamenti climatici aumenteranno gli eventi di calore estremo e ridurranno le precipitazioni nelle principali aree coltivate del mondo, con impatti sulla produttività agricola. Quali saranno le conseguenze sulla produzione delle calorie necessarie per alimentare una popolazione mondiale in crescita?

Secondo uno studio pubblicato nel “Journal of Environmental Economics and Management”, la produzione calorica globale è soggetta a una vulnerabilità continua, o addirittura crescente, ai cambiamenti climatici.

In uno scenario di riscaldamento globale spinto e se gli agricoltori non saranno in grado di adottare strategie di adattamento migliori di quelle adottate finora, i raccolti globali si potrebbero ridurre del 10% entro la metà del secolo e del 25% entro la fine del secolo.

Per arrivare a queste stime, e comprendere come la produttività dei raccolti potrebbe cambiare in risposta ai cambiamenti dei modelli meteorologici indotti dal clima che cambia, un team di ricercatori della Boston University, dell’Università Ca’ Foscari Venezia e della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha accoppiato modelli statistici calibrati sui dati del passato con previsioni delle temperature e delle precipitazioni future provenienti da 21 simulazioni di modelli climatici globali ad alta risoluzione.

“A livello globale, la capacità di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici degli agricoltori, anche nel lungo termine, potrebbe essere limitata” spiega il professor Ian Sue Wing della Boston University, primo autore dello studio. “Negli Stati Uniti, all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie agricole a livello mondiale, gli agricoltori sono stati in grado di compensare solo in parte gli impatti negativi degli eventi di calore estremo sulle rese di mais e soia su archi temporali di decenni”.

Enrica De Cian, professoressa a Ca’ Foscari e ricercatrice al CMCC aggiunge: “Ci siamo chiesti: se si osservano difficoltà di adattamento negli Stati Uniti, cosa possiamo aspettarci per il settore agricolo nei tropici, dove vive il 40% della popolazione mondiale e dove si prevede un aumento delle temperature estreme maggiore che nelle principali regioni coltivate degli Stati Uniti?”.

Per fare luce su questa domanda, gli autori hanno analizzato a livello globale la vulnerabilità di quattro colture, responsabili del 75% dell’assunzione globale di calorie, alle future variazioni di temperature e precipitazioni causate dai cambiamenti climatici.

“Usando modelli statistici calibrati su grandi moli di dati globali ad alta risoluzione spaziale che rappresentano le rese storiche delle colture su griglie di circa 120 chilometri, temperature e precipitazioni, abbiamo distinto la risposta delle colture al caldo e all’umidità durante le loro specifiche stagioni di crescita identificando due tipologie di adattamento – spiega Malcolm Mistry, post doc all’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatore affiliato al CMCC. – Da un lato, abbiamo la risposta di breve termine degli agricoltori a shock meteorologici improvvisi, dall’altro, gli aggiustamenti di lungo termine, nell’ordine temporale di decenni”.

Mentre gli agricoltori hanno opzioni limitate per adattarsi ai cambiamenti climatici nel breve periodo – per esempio, cambiare la quantità di fertilizzante o di acqua di irrigazione applicata alle loro colture – nel lungo periodo è per loro possibile intraprendere un adattamento sostanziale cambiando le varietà di colture, spostando le date di semina e raccolta, adottando nuove tecnologie agricole e investendo in più o in diversi macchinari agricoli.

In linea di principio, gli adattamenti di lungo termine hanno la potenzialità di compensare gli effetti del tempo meteorologico avverso sulle rese agricole. La domanda posta dalla ricerca è: gli agricoltori hanno effettivamente realizzato questo potenziale?

“Sorprendentemente, su scala globale e nella maggior parte delle regioni del mondo, la risposta è no” afferma la professoressa De Cian. “I nostri risultati hanno mostrato che gli impatti negativi di giornate estremamente calde o secche sulla produttività delle colture da cui ricaviamo calorie alimentari sono persistiti per decenni, in linea con i risultati ottenuti precedentemente per gli Stati Uniti. Peggio ancora, questi effetti negativi di lungo termine sono risultati a volte maggiori degli impatti sulla resa agricola che si verificano a causa di shock meteorologici transitori”.

“Ne deriva che l’approvvigionamento calorico mondiale è soggetto a una continua o addirittura crescente vulnerabilità ai cambiamenti climatici” conclude il professor Ian Sue Wing. “Il prossimo passo, a partire da questi risultati, è ora per noi quello di approfondire come gli investimenti in tecniche di irrigazione e lo spostamento geografico delle coltivazioni possano aiutare a compensare gli impatti avversi dei cambiamenti climatici”.

Lo studio, pubblicato nel “Journal of Environmental Economics and Management”, ha ricevuto il sostegno finanziario del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e dei fondi Europei del programma People.

Share Button