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I denti a sciabola, ossia i canini superiori allungati caratteristici di alcuni dei più feroci predatori mai esistiti, hanno affascinato generazioni di scienziati e appassionati in tutto il mondo.

L’acquisizione di questa particolare caratteristica è comune principalmente ad alcune specie, oggi tutte estinte, appartenenti a due gruppi: i felidi e i nimravidi, che sono completamente scomparsi. Essendo presenti in organismi non strettamente imparentati tra loro, i denti a sciabola sono considerati il classico esempio di un fenomeno noto come ‘convergenza evolutiva’. Tuttavia, il meccanismo progressivo che ha permesso a questi gruppi distinti di riuscire ad acquisire i loro canini allungati resta da chiarire scientificamente.

Un innovativo studio pubblicato su “Current Biology” e condotto da un team internazionale di biologi dell’evoluzione, a cui ha preso parte anche un ricercatore della Sapienza, con la partecipazione dell’Università della California – Berkeley ed dell’Università di Liegi, ha investigato i pattern evolutivi che stanno dietro allo sviluppo dei denti a sciabola per fare nuova luce su questo accattivante e popolare aspetto della paleontologia.

Il gruppo di ricercatori ha raccolto dati morfologici cranio-mandibolari relativi a numerose specie attuali ed estinte mediante l’uso di moderni scanner 3D e li ha analizzati con test statistici. In questo modo è stato possibile rivelare una continuità morfologica tra i piccoli felidi attuali e i loro antenati dai denti a sciabola, andando di fatto a confutare la teoria ritenuta finora universalmente valida che ci fosse una netta separazione tra i due gruppi di specie.  

“Abbiamo descritto la morfologia di 99 mandibole e 91 crani provenienti da diverse epoche e sparsi in tutto il mondo, ottenendo una chiara mappa dell’evoluzione di questi animali – spiega Davide Tamagnini del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin – In particolare la nostra ricerca conferma che l’acquisizione dei denti a sciabola sia stata favorevole nel breve termine poiché ha conferito un grande vantaggio in termini di predazione, ma nel lungo termine ha esposto le specie con tali caratteristiche a maggiori rischi di estinzione. Questo potrebbe spiegare perché siano comparsi numerosi gruppi differenti di animali dai denti a sciabola e si siano tutti contraddistinti per una storia dalla durata limitata. Infine – conclude Tamagnini – le nostre analisi hanno chiarito che la chiave per l’acquisizione dei denti a sciabola risiede in un tasso evolutivo particolarmente rapido che caratterizza le prime fasi del cambiamento cranio-mandibolare delle specie” 

Una parte del materiale osteologico studiato per comprendere l’evoluzione dei denti a sciabola è ospitata nelle collezioni del Polo Museale Sapienza, in particolare del Museo di Zoologia e del Museo di Anatomia comparata “B. Grassi”. Tali collezioni sono state recentemente incluse in un ambizioso progetto di digitalizzazione museale, coordinato da Isabella Saggio, attraverso fotografie e ricostruzioni 3D digitali. L’obiettivo è quello di aumentare l’accessibilità delle collezioni naturalistiche, cercando di accrescere l’impatto di queste tematiche sulla comunicazione e promuovere il coinvolgimento del pubblico nella scienza. 

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