Vita in condizioni estreme
Un gruppo internazionale di ricerca ha individuato la presenza di nanobatteri nelle sorgenti idrotermali etiopi del vulcano Dallol: una delle aree più inospitali della Terra, simile a come poteva essere in tempi antichi la superficie del Pianeta Rosso
La vita sulla Terra è in grado di prosperare anche in condizioni estreme, simili a quelle che si pensa esistessero in tempi remoti sulla superficie di Marte. Lo dimostra uno studio internazionale pubblicato su “Scientific Reports” che ha rilevato la presenza di particolari batteri in una delle aree più inospitali del nostro pianeta: le sorgenti idrotermali del vulcano Dallol, in Etiopia.
Analizzando campioni di roccia prelevati in un’area caratterizzata da estrema acidità, elevatissima salinità e temperature altissime, i ricercatori hanno scoperto la presenza di alcuni nanobatteri dell’Ordine Nanohaloarchaeles, fino a 20 volte più piccoli dei batteri comuni. Una scoperta, questa, che getta nuova luce sui limiti della vita sulla Terra e che offre anche nuovi indizi sulla possibile presenza di organismi simili su altri pianeti, a partire da Marte.
Il vulcano Dallol e l’area geotermica che lo circonda sono tra i luoghi più inospitali della Terra, con temperature che oscillano tra 36 e 38° centigradi di media e possono raggiungere picchi di 60°. L’area si trova all’estremità settentrionale della depressione della Dancalia: una regione nel nord-est dell’Afar, in Etiopia, poco lontano dal confine con l’Eritrea, dove l’altimetro segna meno 125 metri rispetto al livello del mare. L’attività idrotermale è alimentata da acqua che viene riscaldata e arricchita in gas da un bacino di magma poco profondo sotto il vulcano: una serie di condizioni che creano un ambiente fisico e chimico unico e complesso.
“Si tratta di un ambiente estremo sotto diversi aspetti, caratterizzato da alte temperature, alto contenuto di sale ed elevata acidità”, conferma Barbara Cavalazzi, ricercatrice dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio. “L’interazione tra l’attività vulcanica e i depositi evaporati saturi di vari sali, tra cui cloruro di argento, solfuro di ferro di zinco, diossido di manganese e salgemma, crea un paesaggio spettacolare con sfumature che vanno dal rosso al verde, dal giallo al blu”. Due anni fa, la ricercatrice dell’Alma Mater ha coordinato la spedizione geologica che, esplorando pozze e condotti d’acqua termale, ha permesso di raccogliere i campioni da cui è emersa la sorprendente presenza di vita batterica.
Dalle analisi microbiologiche realizzate, i ricercatori hanno infatti identificato minuscole strutture sferiche con un alto contenuto di carbonio: un dato che indica la loro origine biologica. “In diversi casi – spiega Cavalazzi – i microrganismi sono circondati da cristalli a forma di ago, il che suggerisce che questi nanobatteri, dell’dell’Ordine Nanohaloarchaeles, possano giocare un ruolo attivo nei depositi salini e nel ciclo geochimico di Dallol”.
La presenza di forme di vita batterica in un’area con caratteristiche uniche come quella del vulcano Dallol mostra non solo che la vita sulla Terra è in grado di prosperare anche in condizioni estreme, ma offre indizi anche sulla possibile presenza di vita su altri pianeti, a partire da Marte. “L’insolita geochimica di Dallol – dice Cavalazzi – ha stretti parallelismi con alcuni ambienti idrotermali marziani fossili, ad esempio il Cratere di Gusev, dove è sbarcato il rover Spirit della NASA”.
Nelle prime fasi dell’evoluzione di Marte, infatti, è possibile che sulla superficie del pianeta si trovassero condizioni simili a quelle oggi presenti nella remota regione etiope indagata dagli studiosi. Tanto che in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista “Astrobiology” lo stesso team internazionale di ricerca ha sottolineato l’importanza del Dallol come modello per esperimenti legati a Marte e in generale per gli studi astrobiologici. “Un’indagine approfondita sulle caratteristiche di questo sito – conferma Barbara Cavalazzi – migliorerà la nostra comprensione dei limiti della vita sulla Terra e informerà la nostra ricerca di vita su Marte e altrove nell’Universo”.
Lo studio – Coordinato dal CAB – Centro de Astrobiología – è stato pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” con il titolo “Ultra-small microorganisms in the polyextreme conditions of the Dallol volcano, Northern Afar, Ethiopia”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Barbara Cavalazzi, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.
Barbara Cavalazzi è inoltre prima autrice della recensione pubblicata sulla rivista “Astrobiology” dal titolo “The Dallol Geothermal Area, Northern Afar. An Exceptional Planetary Field Analog on Earth”, ed è coordinatrice della campagna geologica al vulcano Dallol realizzata nel gennaio 2017 e finanziata dalla Europlanet 2020 Research Infrastructure.
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